Claudio Demaria

Vive da circa 3 anni in Cina, a Shangai. Claudio Demaria, che nel frattempo ha raggiunto l’età pensionabile, sta vivendo dal gennaio 2005 la sua avventura asiatica come direttore tecnico di un’importante azienda modenese: la “Grandi Salumifici Italiani”, nata nel 2001 dal connubio tra Unibon e Senfter. “In Cina – spiega De Maria – produciamo salumi che non potrebbero essere importati dall’Italia”.

La salumeria italiana, in particolare quella emiliana, è sempre più apprezzata nel mondo. In Cina però non è possibile esportarla: Il Prosciutto di Parma e di San Daniele hanno avuto l’autorizzazione da pochi mesi. Nell’era della globalizzazione il commercio dei prodotti alimentari tra Stati è soggetto a regole di import export molto rigide. In Cina, ad esempio, solo dal 2007 , dopo 4 anni di intense trattative è stata data la definitiva autorizzazione concessa ai primi 36 impianti italiani per l’export dei prosciutti crudi. Prossimo obiettivo sarà per i cotti, ma se tanto mi da tanto ci sarà da aspettare ancora.
“Non è possibile esportare i salumi italiani in Cina – spiega Demaria perché non esistono i protocolli sanitari Europa Cina. Soprattutto per la carne di maiale, che ha problematiche molto complesse come peste suina, o vescicolare, non è possibile lo scambio tra le due nazioni: la carne cinese non può venire in Italia e la carne italiana non può andare in Cina”.
I Grandi Salumifici Italiani quindi, con lungimiranza, già dal 2005 producono salumi in Cina, utilizzando i marchi casa Modena e Senfter . I salumi “cinesi” vengono quindi prodotti e commercializzati in loco attraverso una società la Shaqnghai Yi Hua Food, interamente di proprietà della Grandi Salumifici Italiani.

A Shangai la Grandi Salumifici Italiani produce 31 diversi prodotti: salame, prosciutto, mortadella, coppa, pancetta, bresaola, wurstel, speck, porchetta.
“Abbiamo 31 referenze di salumi tradizionali italiani fatti con la carne cinese – dice ancora Demaria – con le nostre ricette, vendute con i nostri marchi concessi a “Yi Hua food”. I salumi invece sono prodotti con i maiali cinesi”

I maiali cinesi sono di due tipi, tradizionali e derivanti dalla selezione con genetica nord europea. “Per i nostri salumi utilizziamo quest’ultimo tipo di suino, quindi non abbiamo grandi difficoltà tecnologiche nella trasformazione e nella lavorazione della carne. La genetica è uguale- aggiunge – l’unico problema è che ci troviamo di fronte ad una cotenna sottile, perché gli animali vengono macellati leggeri, quando cominciano la curva di maturazione”.

L’idea di aprire uno stabilimento in Estremo Oriente è arrivata da lontano, da quando la Senfter, nel 1995 con l’ingresso di Helmut nSenfter nell’azienda di famiglia, decide di aprire una società a Luohe, in Cina. La joint venture paritaria tra Senfter e Unibon del 2001, ha permesso di sviluppare questa opportunità.
Claudio Demaria lavora all’Unibon dal 1989, quando ancora si chiamava Ciam. Unibon lo è diventata dal 1991.

“Quando alla Unibon mi hanno proposto di iniziare questo lavoro in Cina – racconta il dottor Demaria – ho pensato che mi era stata data una grande opportunità, ma anche una sfida difficile da raccogliere e la possibilità di rimettersi in discussione, di crescere professionalmente e umanamente”.
Dal gennaio 2005 Claudio Demaria è il direttore tecnico dello stabilimento di Shangai, allestito per la produzione con impianti tutti italiani.
“I macchinari sono l’esatta fotocopia di quelle che utilizziamo in Italia; i prodotti, invece, non sono altro che la versione cinese di salumi con ricetta modenese o altoatesina – spiega Claudio Demarca – in altre parole, abbiamo cercato di interpretare la qualità e il sapore dei salumi italiani attraverso il gusto dei cinesi, che prediligono cibi poco salati. Per questo, nei nostri prodotti, abbiamo ridotto il sale al limite tecnico consentito per realizzare un buon salume. Oltre alle 31 referenze che produciamo da tempo, dallo scorso anno abbiamo iniziato a produrre anche i “cacciatori” fatti a mano, legati con la corda”.

La produzione, però, non è tutto, perché poi c’è la commercializzazione e la distribuzione.
“… la distribuzione cinese è un po’ particolare – continua Demaria – nessuna azienda, nemmeno quelle più grandi, ha una loro rete di vendita, perché in Cina si vende tramite i distributori (gli all sellers). Quindi noi in città abbiamo cinque distributori, che sarebbero i grossisti, che vendono salumi, ma vendono anche altri prodotti. Poi abbiamo altri distributori nelle altre più importanti città della Cina. Gli all sellers hanno i loro accordi, i loro agganci. Questi vendono ai level, ai ristoranti italiani o ristoranti western style, ai five stars hotels: quello è il nostro mercato.
Poi abbiamo un mercato, che sta nascendo in maniera notevole, che è quello degli affettati nei grandi supermercati tipo Metro o Carrefour: buste da 100 gr. che stanno diventando un mercato importante. Non è nella cultura gastronomica cinese avere gli affettati,li prime a provare sono state aziende che venivano da altri paesi. Ci sono i pezzi, ma non ci sono gli affettati”.
In questo settore la concorrenza cinese non è ancora arrivata.
“C’è un salame cantonese style che è un salame semicotto, pieno di zucchero, bellissimo da vedere, ma per noi immangiabile. In Cina non esiste il salame come il nostro. L’unico concorrente che abbiamo è Beretta”.

Claudio Demaria interrompe periodicamente il suo soggiorno cinese con qualche rientro a casa, a Marano. Un “passaggio” che ormai non gli fa più effetto.
“All’inizio però – racconta – quando sono passato da Marano a Shangai l’effetto è stato sconcertante. Basti pensare che il residence dove vivo a Shangai è più grande, più popolato di Marano. Il primo impatto con la grande città è stato veramente difficile, e i primi tre mesi sono stati durissimi, anche se ho avuto una grande fortuna, che sono stato aiutato dai colleghi arrivati in Cina già da tempo. E comunque in Cina non sei mai da solo, in qualsiasi momento, sia di giorno che di notte, in qualsiasi luogo, ci sono milioni di persone che si muovo con te. Siccome in Cina ci sono molte milioni di persone e abitano tutti nei primi mille chilometri dal mare … la popolazione è estremamente fitta. Il problema primo è comunque la lingua. Non basta sapere l’inglese. Perché i tassisti, ad esempio, non parlano inglese. Quindi ti devi adattare. I primi tempi viaggiavo con dei bigliettini, con scritto in cinese dove dovevo andare… compreso il mio indirizzo di casa. Li “esibivo” al mio interlocutore a seconda di quello che volevo comunicare. Adesso un po’ ho studiato il cinese e riesco a pronunciare qualche parola e un po’ so girare la città”.

(28 gennaio 2008)

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

Con la presente accetto l’informativa sulla privacy