E’ attraverso la caparbietà, ma anche con un pizzico di casualità che Oliviero Vanni è diventato coltivatore di successo e i suoi cavoli viaggiano in tutto il Sudamerica. La sua vita di emigrante ha varie tappe, prima in Africa, poi in Francia e quindi in Sudamerica. Emigrato dall’Appennino ha messo in pratica in Brasile quello che aveva imparato dalla sua gente: trarre il meglio dalla terra.
La storia di Oliviero Vanni, nato a Pievepelago nel 1920, è una storia di povertà e riscattati di intraprendenza e voglia di fare. Il suo peregrinare per il mondo iniziò nel 1939 con la chiamata alle armi come paracadutista della Folgore. Durante la seconda guerra mondiale partecipò alla battaglia di El Alamein e il 6 novembre 1942 fu catturato dagli inglesi e rimase tre anni progioniero in Africa. Solo nel 1946 potè tornare in Italia e riabbracciare la famiglia.
Ma arrivato a casasulle colline modenesi non trovò altro che miseria e desolazione, i giovani se ne andavano e lui fece altrettanto. Emigrò all’estero in cerca di lavoro, insieme ad altri compaesani. In Francia, trovò da lavorare come carpentiere muratore e contribuì alla costruzione di centrali elettriche nella zona di Nizza. Dopo due anni di intenso lavoro, terminato il quale si trovò a decidere se tornare in Italia o trasferirsi nelle miniere di carbone del nord della Francia.
Con quella tenacia che è tipica della gente del nostro Appennino, Oliviero Vanni non si diede per vinto e ricominciò da capo la sua emigrazione. Questa volta scelse il Sud America. Venne a conoscenza che in Venezuela c’erano buone opportunità e così, insieme ad altri quattro amici, si presentò, all’ambasciata venezuelana. Non vennero accettati. Una nuova sconfitta, presto colmata dal destino: il caso volle che proprio accanto all’ambasciata venezuelana ci fosse quella del Brasile, dove Vanni e i suoi amici entrarono senza ormai troppe speranze. E invece qui furono accettati. Il Brasile divenne quindi la loro nuova mèta e partirono, anche se le condizioni erano abbastanza dure: dovevano lavorare per almeno cinque anni in una zona rurale. All’arrivo nel nuovo Paese, Oliviero Vanni aveva in tasca solo 30000 cruzeiros, sufficienti appena per il sostentamento di pochi giorni. Ma aveva braccia buone e così, insieme agli amici scelse di recarsi in una regione centrale, il Goiàs, dove avrebbe dovuto sorgere la nuova capitale brasiliana.
In quei posti la terra da lavorare certo non mancava e Vanni e i suoi compagni di avventura si misero con tutto l’impegno a coltivare i campi. Ma i primi raccolti furono quasi un disastro a causa del clima sub-tropicale della zona. E di nuovo il destino intervenne: senza molte speranze seminarono 15000 cavoli che, contrariamente ad ogni previsione, crebbero rigogliosi e divennero il fondamento dell’attività dei cinque amici di Pievepelago.
Da qui le cose per Vanni e soci andarono sempre meglio: risanarono un’ampia zona e nel 1960 Oliviero potè farsi raggiungere dal fratello Mario. L’Italia, e in particolare la montagna modenese, fu sempre un ricordo dolce, e allo stesso tempo doloroso, per Oliviero Zanni. Nonostante la sua vita fosse ormai in Brasile, dove si era sposato ed aveva avuto ben sette figli, il desiderio di rivedere la propria terra non lo aveva mai abbandonato. Voleva tornare a rivedere i suoi monti e finalmente, una decina di anni fa, è riuscito a realizzare questo suo sogno. E’ tornato a Pievepelago, insieme al più giovane dei suoi figli, ed ha potuto riabbracciare i suoi fratelli e le sorelle e a fare ancora qualche chiacchierata nel bar del paese.
(22 marzo 2001)