Una vita trascorsa in Australia e dopo oltre trent’anni di lavoro ora Marisa Gatti si gode la meritata età pensionabile con un’intensa attività all’interno dell’associazione emiliano romagnoli, canta in un coro locale e gioca a derfs con le amiche. Ha una grande famiglia e tanti amici e di tanto in tanto la nostalgia dell’Italia, degli amici di un tempo che vorrebbe rivedere.
Marisa Gatti è emigrata nel 1956 con il marito Aldo Nicoluzzi. Con loro c’era anche la piccola Franca, di appena dieci mesi. Marisa è nata a San Felice, da una famiglia molto conosciuta in paese, composta dai genitori e da tre figli, oltre a Marisa c’erano anche due fratelli, uno maggiore e uno minore. La madre morì presto, durante la seconda guerra mondiale e Marisa, dopo aver trascorso nella Bassa la sua infanzia e la sua giovinezza, aver lavorato in un canapificio e nelle risaie, conobbe Aldo, un giovane di origine veneta di belle speranze e con l’ambizione di migliorare la sua condizione di vita. Così Marisa, quando si sposò all’età di 23 anni, dopo essersi trasferita prima sull’altopiano di asiago nel vicentino, è partita per l’Australia, dove è arrivata il 12 novembre 1956. Aldo ha lavorato per 28 anni come minatore, Marisa in una fabbrica tessile per 30 anni. Ha iniziato la sua occupazione pochi mesi dopo il suo arrivo, nel 1957, ed ha cucito stoffe di ogni tipo, per tre decenni. La famiglia Nicoluzzi Gatti è stata prima per cinque anni nel Vittoria a Merbourne, poi si è trasferita nel New South Wales. Seppure Marisa si sia da subito perfettamente integrata nella vita e nella società australiana, non ha mai abbandonato l’idea di poter tornare in Italia anche se, ormai, dice, la sua vita è costruita là, dove ha tanti amici e una bella famiglia, con due figli e quattro nipoti. Oltre a Franca, nata in Italia, nel 1962 in Australia è arrivato anche Walter.
Ora Franca, maestra e disegnatrice tecnica, sposata Gleason, ha due figli: Benjamin di 17 anni e Laura di 16. Anche Walter è sposato, è ragioniere ed ha due figli: Rayan di 10 anni e Jake di 6.
Un’altra delle migliaia di storie di emigrazione targata Modena. (m.b.)