Annalisa Signorile

Un periodo nero della sua vita e la decisione di abbandonare tutto per aiutare gli altri. Così Annalisa Signorile, 33 anni di Modena, attualmente in Kosovo, era partita nel 1997 con la Croce Blu, come volontaria, per andare in Umbria. E da lì inizia la sua storia.
«Aiutando gli altri – ha spiegato Annalisa Signorile – ho scoperto chi era veramente Annalisa nelle tormentate problematiche quotidiane legate all’emergenza e questo mi ha fatto capire cosa ero in grado di fare».
All’Umbria è poi seguita qualche mese dopo, nel maggio 1998, la tragedia di Sarno.
E Annalisa è ripartita, sempre con la Croce Blu, come volontaria.
Ormai aveva capito cosa avrebbe voluto fare “da grande”, cosa le serviva per dare una risposta alle aspettative che aveva sempre avuto per se stessa, fin dai tempi in cui era entrata nel mondo del lavoro.
Dopo aver conseguito il diploma di ragioneria commercio estero, infatti, è stata impiegata cinque anni presso l’amministrazione centrale dell’Università di Modena e in seguito come segretaria della Clinica universitaria di psichiatria e neurologia al Policlinico.
«Ma sentivo che non ero portata per il lavoro statale – racconta ancora Annalisa – non avevo possibilità di crescita nè professionale nè personale».
«Così mi sono dimessa e, insieme a due soci, ho aperto un centro arredamenti. Evidentemente non avevo saputo scegliermi i soci perchè mi hanno causato solamente un sacco di problemi, lasciandomi infine senza il becco di un quattrino. I miei genitori mi sono stati molto vicini, anche i miei fratelli. Ma io ero ugualmente a terra».
Il volontariato con la Croce Blu le permise di risalire lentamente la china nella quale era precipitata, ma non le concedeva di mantenersi.
Dovendo “reinventarsi” anche professionalmente aveva iniziato a lavorare presso un’agenzia immobiliare e in quella attività sembrava aver trovato un buon “risveglio”, sia economico che professionale. Dopo, però, venne l’emergenza del Kosovo e dell’Albania.
«Sono partita con l’Anpas – racconta – si doveva aprire un campo profughi vicino a Durazzo. Fui impiegata come vice responsabile del campo e questo mi riempì di soddisfazione. Probabilmente chi aveva la resposabiltà del campo aveva visto come lavoravo e aveva giudicato che fossi idonea a prendere decisioni e ad avere alte responsabilità. Onestamente devo dire che credo di aver fatto un buon lavoro».
Una volta tornata a casa da questa illuminante esperienza decise di lasciare l’agenzia immobiliare.
«Era un lavoro che mi rendeva bene economicamente – dice ancora – ma non era quello che cercavo. Aiutare famiglie che avevano già una casa a comprarne una più grande, ma avere ancora nel cuore coloro che avevamo ospitato nel campo rifugiati, che prima la casa l’avevano poi si ritrovavano a vivere in 15, 20 persone in una tenda, era davvero impossibile. Sentivo che il mio posto era là, dove gli altri avevano bisogno di me, dove ogni giorno la mia presenza era necessaria e ogni giorno ci si rimette in gioco. Ma farlo per tutta la vita da volontaria, era impensabile».

IL FUTURO
Incarico Onu o Protezione civile italiana

Dopo l’Albania, per Annalisa Signorile arrivò la Macedonia, una nuova missione organizzata in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Regione Emilia Romagna e l’Anpas.
Questa volta il compito del team dei tecnici, di cui Annalisa era la sola donna, era di avviare quattro grandi cucine da campo a Cegrane, in un campo profughi di 53mila persone, il più grande esistente nei Balcani.
«Avvenne nel giugno del 1999, la guerra era ancora in corso – spiega Annalisa – facevo da interprete, segretaria logistica e anche cuoco, se occorreva».
Il campo era gestito da una grande Organizzazione umanitaria internazionale, Care International e durante questa esperienza Annalisa ha avuto la possibilità di conoscere persone che lavoravano per questa Ong e di ricevere alcune proposte di lavoro in Kosovo. Non sarebbe stata più una volontaria, ma avrebbe percepito uno stipendio. Il sogno cominciava a diventare realtà…
Annalisa Signorile è a Pristina da un anno e mezzo e ora, dopo aver lavorato per diversi mesi per un’organizzazione umanitaria italiana, il Cesvi, in qualità di amministratore, sta lavorando per le Nazioni Unite come United nation volunteer, il volontariato delle Nazioni Unite.
«Vista la mia esperienza mi piacerebbe riuscire ad entrare nella protezione civile italiana ma è molto difficile. Comunque non mi lamento, per ora sono con l’Unmik».
L’Unmik è praticamente le “Nazioni Unite per la missione Kosovo”, che sta facendo le veci del Governo in quella terra.

L’uranio impoverito?
Non ho proprio paura

In questi mesi Annalisa Signorile è stata dapprima coordinatore delle operazioni di apertura e chiusura dei siti di registrazione anagrafica per i cittadini.
Per ogni persona venivano presi nome, cognome, eccetera, impronte digitali e foto e questa operazione è durata diversi mesi ed ha avuto luogo in circa 450 uffici sparsi su tutto il territorio kosovaro.
Ora, finito il momento delle elezioni, Annalisa lavora al Dipartimento dello Sport e si sta dedicando ad un progetto per individuare edifici sportivi da ristrutturare o aree dove costruirne dei nuovi, per dare ai ragazzi delle strutture nelle quali passare il tempo libero svolgendo attività sportiva. Togliere, insomma, il più possibile i ragazzi dalla strada. Attualmente l’Unmik fa fatica a governare – spiega Annalisa – esiste una falsa economia fatta di denaro che circola perchè ci sono i contingenti, militari e civili e volontari, di altre nazioni che operano nel Paese e tutto si basa sul loro apporto economico. L’Unmik sta comunque facendo di tutto affinchè non avvengano incidenti e tutto proceda per il meglio. Noi stessi sappiamo come comportarci, quando e chi frequentare. Qui c’è gente proveniente da tutto il mondo, un unico immenso crocevia di razze, costumi, esperienze diverse». Per quanto riguarda invece il dibattuto problema degli effetti dell’uranio impoverito Annalisa dice che non la spaventa. «Non so, sarà per indole, ma se fossi una che si fa venire il panico, non sarei certamente adatta a lavorare nelle emergenze. In questi ultimi 7 anni 100mila soldati sono partiti a turni di diverse migliaia ogni sei mesi per le destinazioni incriminate, in Bosnia e in Kosovo. Una percentuale di pochi ammalati di leucemia per me non fa statistica. Certamente non sono un’avventata e mi farò visitare, ma non sono preoccupata».
Cosa farà quando il contratto con le Nazioni Unite sarà terminato? «Chissà… sono appena tornata dalla sede di New York, incrociamo le dita».

(20 aprile 2001)

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