Il suo nome è Gugliemo, ma a New York tutti lo chiamano William o più amichevolmente Billy. La sua è la storia di un giovane modenese che decide di partire per qualche tempo dalla sua città, percorrere nuove e più eccitanti strade e che ora si trova, dopo oltre dieci anni, nel cuore di Manhattan, lanciato nel business della ristorazione, unito a Tomoe, giapponese di nascita. Guglielmo, padre di Andrew, un piccolo nato da pochi mesi, ha nel cuore la mai abbandonata idea di calcare le scene dell’infinito mondo del teatro. Anche se titolare di due ristoranti, ha già recitato a manhattan ma sogna sempre di fare l’attore. Questo è Gugliemo Mattiello.
Voleva fare l’attore, era il suo sogno fin da ragazzo. E con questo sogno è partito più di 10 anni fa.
«Ho lasciato modena nel 1989 – racconta Guglielmo Mattiello – perchè chi ha nel cuore la voglia di vedere il mondo, di intraprendere strade nuove e poco convenzionali, non può fare altro che partire, mettersi in viaggio. Non importa cosa si lascia indietro, nè quanto incerto sarà il tempo che ci aspetta, l’importante è lasciarsi trasportare. Le somme si tireranno in ultimo».
La prima tappa di Guglielmo fu a Londra, dove arrivò insieme ad un amico. «Poco più che ventenni partimmo, se non proprio al buio – racconta – con un sole che volgeva al tramonto. Rimanemmo insieme per più di un anno. Io cominciai a maturare sempre più la convinzione che un giorno o l’altro avrei fatto l’attore».
E con questa idea per la testa Gugliamo Mattiello si adattò a fare di tutto: fu sguattero al Mc Donald’s, ragazzo alla pari presso una famiglia aristocratica della periferia sud di Londra, cameriere a China Town e impegnato in altri mille lavoretti.
«Modena era ormai un posto lontano – continua – Londra una città di musicisti, più che di attori. Poi conobbi Tomoe, giapponese di nascita e come me vocata all’avventura e ai viaggi».
Da poco avevano compiuto ventidue anni quando partirono per New York City, poche certezze, ma Guglielmo Mattiello aveva ancora ferma l’idea che sarebbe diventato attore. «Ricordo le ore trascorse a scimmiottare De Niro di fronte ad uno specchio o a camminare per le strade come un Clint Eastwood con la sua calibro 45 nella tasca del cappotto. New York accolse Tomoe ed me come fossimo comparse di un film di Woody Allen. Giornate fredde pungenti, marciapiedi stracolmi di persone dallo sguardo perso nei propri problemi. Non fu facile, nemmeno per chi, come noi, veniva da un’esperienza come quella londinese. qui è davvero un altro mondo, un altro ritmo. Non ci sono punti di riferimento certi, tutto e smisurato e vorticoso».
Passati i primi mesi in cui Guglielmo e Tomoe trovarono casa, qualche lavoretto e alcuni amici a primavera le cose iniziarono a cambiare. Guglielmo lavorava in un ristorante, il «Piccolo mondo» della Fifth Avenue. Fu nel ristorante che conobbe una signora simpatica che andava spesso nel locale a mangiare Lasagne all’Augusto, il piatto forte del menù, inventato dallo chef locale Augusto Geraci, per l’appunto.
«La signora sedeva nei tavoli che affacciavano sui trafficati marciapiedi – racconta Guglielmo – ordinava antipasto all’italiana e un bicchiere di Chianti. Veniva spesso accompagnata da pile di riviste di cinema e teatro che teneva sottobraccio: Backstage, Theatre, American Stage, tutti nomi che risvegliavano i mie sogni più arditi. Il nome della signora era Uta Hagen, era insegnante di recitazione alla Herbert Bergoff Studio School».
Uta Hagen fu per Guglielmo Mattiello il primo fortunato contatto con il mondo che aveva sempre sognato. Pochi giorni dopo iniziò a lavorare part time presso il ristorante e si iscrisse, con i pochi soldi che aveva messo da parte, alle classi di recitazione della signora Hagen.
«Tutto era magico, un sogno che diventava realtà: nuova gente spinta da un uguale entusiasmo con cui condividere la stessa passione, le letture dei primi copioni, gli appuntamenti con i nuovi amici nei bar di Manhattan per discutere le parti, le prove nei parchi nelle ore off dal lavoro, nelle piazze sulle panchine. Quattro sere la settimana si andava in classe per ascoltare le affascinanti storie della signora Hagen, per carpirne i segreti sull’arte della recitazione. Il giorno era solo una parentesi nell’attesa delle sere. Era come nel film Saranno Famosi, Flash dance, roba così insomma».
E dopo circa un anno di frequenza alla Bergoff School, arrivò improvvisa per Guglielmo Mattiello la possibilità di partecipare alla sua prima commedia. «Armando Morales, mio compagno di corso – racconta – mi propose ad una compagnia off Broadway, compagnie che operano con un basso budget nei teatri minori di Manhattan, per una commedia dal titolo Line. Fu una piece di discreto successo, replicata 36 volte nel corso di tutta la stagione invernale».
Dopo questa esperienza, Mattiello ha partecipato in qualità di comparsa ad altri lavori teatrali e nel 1996, quando la scuola venne terminata, cercò una sistemazione.
«Ebbi l’insperata fortuna, grazie ad alcune conoscenze – spiega – di vedermi accordato un prestito da una banca locale. Una discreta somma con la quale ho aperto il mio primo ristorante nel cuore di Manhattan. E’ stata una prova stimolante – continua – un mondo diverso su cui confrontarsi, ma non per questo di minor soddisfazione. Tomoe ed io lo abbiamo chiamato I Pagliacci, ispirandoci nell’allestimento alle atmosfere felliniane del famoso film Il Circo. Ho ricevuto diverse segnalazioni negli inserti dedicati al ben mangiare in città sui principali quotidiani locali e, tenendo conto che qui per locale si intende una comunità di circa dieci milioni di persone, posso dire di essermi preso le mie belle soddisfazioni».
Da poco più di un anno la famiglia Mattiello ha aperto il secondo ristorante: I Pagliacci 2 Go, una specie di rosticceria take away e adesso è pronto per un terzo ristorante.
Da qualche mese Mattiello è anche diventato papà. E’ nato, infatti, il piccolo Andrew, o come lo chiamano in famiglia, Polpettino. Nonostante si sia integrato perfettamente nella vita di New York, Guglielmo Mattiello rimane comunque attaccato alla sua Modena. «Credo che Modena manterrà per sempre un ruolo importante nella mia vita un ruolo legato alla mia memoria, al mio passato. Di sicuro c’è che le immagini della ghirlandina e del mio quartiere, la Crocetta, mi accompagneranno per sempre e ogni volta che mi appresterò a tornare, sarà sempre con lo spirito di chi torna a casa. E grazie alla Gazzetta che, con in Internet, è riuscita a farmi sentire più vicino a casa anche migliaia di chilometri di distanza».