Questa è l’avventurosa storia di Bruno Ugolotti emigrato nel dopo guerra Ha fatto di tutto: da minatore, a scrittore e imprenditore.
Con mezzo dollaro ha trovato un Perù
E’ arrivato in Perù con suo padre, dopo la guerra: In due avevano in tasca un dollaro americano. Bruno Ugolotti, una gioventù vissuta a Modena, racconta la sua avventurosa esistenza, trascorsa tra il lavoro da ingegnere minerario e la passione di scrittore. Ha avuto due mogli, sei figli e una dozzina di nipoti e ricorda il periodo modenese a Villa Roli, con l’amico Tonino e la sorella Lalla.
“Uno dei primi ricordi di Modena è la neve, con l’eco degli strilli di mia madre per la povera seggiola di Vienna sfondata dal mio peso nell’impeto di arrampicarmi alla finestra”.
Bruno Ugolotti comincia così il racconto dei suoi ricordi modenesi, spaccati di vita d’altri tempi.
“Era l’inverno del 1926, uno dei più rigidi del secolo. Dormivamo ai piedi di una stufa Becchi a tre piani di terracotta rovente. Al mattino occorreva spezzare il ghiaccio nel catino per lavarsi la faccia e i tetti delle case minacciavano di rovinare, ma le montagne di neve accumulate lungo le strade offrivano un’occasione unica per fare dell’alpinismo a buon mercato”.
La madre di Bruno Ugolotti era maestra elementare e cominciò fin dai primi anni di vita ad insegnargli i rudimenti delle lettere.
“Da qui il mio amore per la lettura, credo – continua – ricordo bene il cinema Orientale, dove con 20 centesimi uno poteva passare un pomeriggio godendosi le avventure di Tom Mix”.
“Un po’ più caro era il cinema Margherita e addirittura proibitivo lo Storchi, dove, malgrado tutto, potei un giorno assistere ad uno dei primi spettacoli di Vanda Osiris e Macario”.
Erano quelli gli anni del ventennio fascista, delle sfilate in divisa e dei canti patriottici nelle scuole.
“Uno dei primi oggetti di valore di cui venni in possesso fu un’aquila di latta dorata da cucire sul fez. Uno dei miei maestri delle Corni, cui venne chiesto se “tedeschi” si scrivesse con la maiuscola rispose che si doveva scrivere con meno della minuscola. Forse, poveretto, era reduce dalle trincee”.
In quel periodo la famiglia Ugolotti, che prima viveva alla periferia di Modena, si trasferì nei pressi della stazione, in un palazzo detto ex-Pallamaglio e Bruno passò dalle Corni ai Salesiani.
Si iscrisse poi al liceo Muratori.
“Lì si studiava sul serio racconta – e fu così che nacque dentro di me un sacrosanto odio giovanile per la matematica. Innamorato per la prima volta di una giovane vista per strada e di cui potei sapere solo il nome, Doratina Bazzani, le scrivevo ardenti poesie che continuarono a giacere per lungo tempo in un cassetto finchè i bombardamenti non le mandarono in fumo. Passeggiavo in bicicletta e giocavo con gli amici del cuore Antonio Mezzanotte e Tonino Roli, che non ho più visto, da sessant’anni almeno”.
All’esame di maturità, per Bruno Ugolotti lo scoglio maggiore si annunciava la matematica. Così i genitori decisero di mandarlo a lezione privata.
“Accadde il miracolo – ricorda – il professore scelto da mia madre, riuscì a farmi vedere così chiare le formule e le dimostrazioni dei teoremi, che non soltanto passai l’esame con un otto, ma mi iscrissi più tardi alla facoltà di ingegneria”.
Arrivò poi la guerra e Bruno Ugolotti chiese di entrare nel Corpo degli Alpini.
Dopo sei mesi di scuola di artiglieria alpina a Lucca, venne inviato a Belluno per il servizio di prima nomina come sottotenente.
“Inutile ricordare quegli anni tragici – racconta ancora – venne l’8 settembre 1943, l’esercito si sciolse”.
“Il mio gruppo, in Val di Piave, rimase unito fino al giorno tredici a Premartiacco, vicino a Udine per via della promessa dei tedeschi di concedere l’onore delle armi alla mia divisione, la provatissima e disgraziata Julia. Ma poi piazzarono due panzer davanti al comando e cominciarono a sparare, ci sbandammo come tutti gli altri”.
Bruno Ugolotti si laureò nel marzo del 1944 a Bologna in ingegneria mineraria.
“Il mio dieci all’esame di maturità in italiano non mi aveva stimolato ad iscrivermi a lettere – continua – litterae non dant panem, pensavo. Devo però riconoscere che quei bei filoni d’oro, grossi come il braccio di un uomo, nel loro letto di quarzo, erano solo nella mia mente, frutto delle letture dell’infanzia”.
L’Italia aveva perso le colonie con le relative possibilità di impiego in campo minerario.
Bruno Ugolotti si dovette accontentare di un posto da assistente nelle cave di Casalmonferrato.
“Dopo poco cominciarono le difficoltà – racconta ancora – in città non era sicuro rimanere per via dei bombardamenti, mentre sui colli attigui dove ero sfollato e che risalivo in bicicletta la sera dopo il lavoro, mi si prendeva per fascista. Un bel giorno mi ritrovai con la fredda canna di una pistola puntata alla tempia. Abbandonai Casale e mi rifugiai a Ceretolo, in provincia di parla sulla Val d’Enza, sempre in bicicletta, dove i miei nonni possedevano un piccolo fondo. Passò così l’inverno 1944-45, con lo Stern sotto il braccio, su e giù per l’Appennino con il nome di battaglia di ‘Aldo’ “.
Raggiunse il grado di vice comandante di battaglione nell’esercito della libertà e, sfuggito quasi per miracolo ai vari rastrellamenti, scese alla fine a Parma il 25 aprile nelle vesti di vincitore.
Nel libro “Il Torrente” tutta la sua vita
Il paradiso andino, i ricordi della resistenza, la malattia ai polmoni
La guerra era finita. L’Italia era da ricostruire e non c’erano miniere importanti nel sottosuolo.
Invece di perdere pochi mesi o un anno per prendere una seconda laurea in ingegneria edile per rifare ponti, strade, case ed edifici di ogni genere, insistette nei suoi sogni di ragazzo, quelli nati e cresciuti sulle letture di Salgari.
“Finii in un buco detto Colombiera, nel sarzanese – racconta Bruno Ugolotti – dove si estraeva un carbone autarchico da un sottosuolo di argilla silicea che stritolava le gallerie, una miniera piena di grisou, priva delle più elementari norme igieniche, di sicurezza e di ventilazione”.
Si ammalò di silicosi e decise di abbandonare l’Italia per cercare lavoro all’estero, proprio là dove le miniere c’erano veramente.
“Lei ha la silicosi, mi disse il medico americano della Cerro De Pasco Corporation presso la quale trovai lavoro in Perù nell’aprile del 1947 – racconta – Gli alveoli dei miei polmoni si cominciavano a distruggere”.
Ero emigrato in Perù con mio padre. Il mio favoloso stipendio della Cerro, ben 300 dollari al mese, servì perché egli a Lima fondasse una piccola fabbrica di marmellate. La chiamammo “Bu”. Tutta l’attrezzatura era formata da due pentoloni di alluminio e una cucina a gas. Mio padre faceva le funzioni di fabbricante e venditore, consegnava la merce a domicilio e riscuoteva il valore delle fatture. All’arrivo in Perù tra me e mio padre possedevamo un dollaro americano””
Bruno Ugolotti rimase subito incantato dal Perù, dalla cordialità della gente e dagli splendidi paesaggi.
“Vi regnava libertà – ricorda – la vita era facile, le persone cortesi, la delinquenza inesistente. Non parliamo poi delle attrattive naturali: i deserti, le spiagge calcinate dal sole, le montagne, l’intensità della selva. Affittavi una barca e tornavi a casa con un cesto colmo di pesce, entravi in un torrente e riuscivi a pescare cento trotelle in una mattina. I laghetti morenici dell’altopiano formicolavano di anitre selvatiche”.
Poi anche per il Perù, il tempo cambiò il corso degli avvenimenti. Per Bruno Ugolotti arrivò il tempo dei ripensamenti.
“Il mio soggiorno al Cerro fu breve. Per quanto la miniera dove lavoravo fosse dotata di ogni genere di misura di sicurezza, non mi potevo esporre a peggiorare la situazione dei miei polmoni. Nel 1950 presi in affitto un’azienda di cotone a Lima. Rabberciai con le mie stesse mani una casa hacienda di legno e mi dedicai alla piantagione”.
La pianta del cotone a Lima può durare tre anni dando frutto. Ogni anno si pota alla radice, si concima, si irriga e si lascia “agostare”.
“Durante il tempo libero suonavo la fisarmonica e scrivevo. Fu là che nacque “Il Torrente“, il mio primo libro, un resoconto delle mie memorie di partigiano in forma romanzata.
Marmellata e campi di cotone
Dal brevetto per il pomodoro sottovuoto a quello per la senape
Scrivere è sempre stata la sua passione. Il primo libro “Il Torrente” fu pubblicato a Parma dal padre, a sue spese, assieme alle sue poesie dialettali.
“Le poche copie che se ne fecero – racconta Bruno Ugolotti – andarono sicuramente al macero perché nessuno si curò di seguirne la vendita”.
Anche gli anni della piantagione di cotone, quelli che Bruno Ugolotti giudica i più belli da lui trascorsi in Perù, finirono perché i padroni dell’azienda vendettero i terreni ad una ditta urbanizzatrice. Tornò in Italia con 5mila dollari in tasca e il 50% delle azioni della fabbrica che stava progredendo. In Italia non si trovò bene e riprese la strada del Perù.
“C’era in vendita un fondo nella selva amazzonica, a cavallo del rio Mayo, con una piccola piantagione di canna da zucchero e un alambicco per distillare aguardiente. Vi si accedeva solo per via aerea, ma c’era in progetto una strada transandina fino alla costa. Lo comprai insieme a qualche centinaio di ettari di foresta che lo Stato vendeva a mezzo dollaro l’uno. Avevo due barche a motore ed alcune canoe per trasportare il prodotto lungo il fiume. Commerciavo in pelli coi selvaggi del luogo, sfrondavo la foresta e piantavo caffè. Era un mondo così pulito e diverso dall’attuale che quando andai a coprare un catenaccio per la porta di casa mi chiesero perché volevo chiuderla. Il Governo, però, non faceva la strada e il costo del trasporto aereo si mangiava i miei limitati guadagni. Vendetti tutto e tornai a Lima, dove presi a lavorare nella nostra fabbrica”.
La sua passione per lo scrivere, intanto non si era affievolita. Bruno Ugolotti aveva continuato a raccontare le sue storie e stava prendendo forma “Pellicani e centauri” la saga dell’ultimo Inca del Perù ai tempi dell’invasione spagnola.
“Poiché in Italia non fece fortuna, lo tradussi in spagnolo e lo presentai in Spagna al premio El Pianeta. Arrivò finalista e niente di più. Un argomento così affascinante e che si sarebbe prestato così bene alla sceneggiatura di un film!. Col tempo lo rifeci, gli cambiai il titolo in “L’ultimo Figlio del Sole“.
Intanto la fabbrica di marmellate di Lima stava sviluppandosi. Ugolotti aveva importato da Parma il primo impianto in Perù per la produzione di concentrato di pomodoro sottovuoto.
“Non dimenticavo però l’Italia – dice Bruno – e a poco a poco venne alla luce il mio “Il Fascismo e i suoi sogni” dove analizzavo la parabola fascista attraverso i suoi canti, gli inni e le barzellette politiche dell’epoca. Lo pubblicai a puntate sul mensile “Incontri” dell’associazione italiana in Perù”.
Per mancanza di spazi dove ampliare la propria attività produttiva, gli Ugolotti decisero di fondere la propria azienda con un’altra dello stesso settore.
“Non ci fu però accordo coi nuovi soci – continua – e vendetti le mie azioni per 45mila dollari che, nel 1962 costituivano una discreta somma. Andai negli Usa, studiai i vari prodotti e ritornai con un impianto automatico per produrre senape, molto richiesta sul mercato e che fino a quel tempo veniva importata. Fu anche questo un impianto nuovo per il Paese e lo vendetti solo lo scorso anno, perché già vecchio e ammalato di enfisema polmonare”.
Malgrado le scarse soddisfazioni editoriali, Bruno Ugolotti ha sempre continuato a scrivere.
“Hanno visto la luce “Le leggende di un feudo” e “La sala degli specchi”, una raccolta di raccolti e satire che vennero pubblicate insieme alle leggende sulla Gazzetta di Parma. Poi venne la trilogia “La Giovinezza”, “La Maturità” e “La terza età”, una specie di amara presa in giro di me stesso, ancora inedita”.