Tragico viaggio della speranza fino in Brasile
Alla fine dell’Ottocento, emigrare significava, il più delle volte, intraprendere un viaggio verso l’ignoto; attraversare l’oceano affidandosi alla precarietà dei mezzi di trasporto dell’epoca; poteva anche voler dire, senza alcun incertezza, abbandonarsi a vere e proprie odissee. Tra i viaggi più allucinanti che gli emigrati modenesi hanno dovuto affrontare c’è quello di un gruppo di famiglie della Bassa, provenienti in particolare da Disvetro e Cavezzo, che hanno dovuto superare gravi problemi nella traversata atlantica, lutti, malattie e miserie e, una volta arrivati al porto di Rio de Janeiro , una violenta epidemia scoppiata a bordo ha indotto le autorità sudamericane a vietare lo sbarco e a rispedire gli sventurati in patria. Una triste storia, della quale hanno parlato i maggiori quotidiani nazionali dell’epoca e che è giunta a noi ampiamente documentata attraverso un volumetto rintracciato nella biblioteca comunale di Mirandola.
Nella pubblicazione “L’odissea del piroscafo Remo ovvero il disastroso viaggio di 1500 emigranti respinti dal Brasile” edito nel 1894 dalla tipografia Grilli Candido in Mirandola, uno dei protagonisti, Cesare Malavasi, racconta le vicende quotidiane di un apocalittico “viaggio della speranza” oltre oceano.
“Era già scoccato mezzodì quando entrai nel grande salone, in prossimità al porto, dove stavano 900 emigranti fra uomini, donne e bambini – così Cesare Malavasi inizia il suo racconto sull’odissea del piroscafo Remo – la maggior parte degli emigranti stava seduta e sdraiata sul pavimento, alcuni si cibavano, altri dormivano”.
Tra queste 900 persone c’erano anche un centinaio di modenesi, provenienti per la maggior parte da Cavezzo e dalla frazione di Disvetro, ma anche dalla montagna, come ad esempio, tale Adolfo Ferrari da Riolunato.
Il piroscafo parti dal molo di Genova alle 15,30 del 15 agosto 1893 per ritornarvi solo alle 1l del 26 ottobre, dopo un viaggio massacrante nel quale morirono 96 passeggeri.
Partito da Genova, il piroscafo Remo fece rotta verso Napoli per imbarcare altri passeggeri nonostante l’agente di immigrazione avesse più volte negato questo ulteriore imbarco. A Napoli salirono circa settecento meridionali che, oltre ad aumentare il numero dei passeggeri a bordo arrivato alla considerevole cifra di 1500 persone, causarono non pochi problemi di ordine. Durante il viaggio scoppiarono continue liti tra emigranti del nord e del sul che, comunque, trovarono comune accordo al momento di manifestare contro le disumane condizioni in cui erano costretti dal commissario di bordo.
“Un bel di – scrive ansora Cesare Malavasi – affisso ad un respiratore di poppa stava un avviso così concepito: “Emigranti non vuol dire né venduti né maiali. Se usurpar ci vogliono più di meta razione, alrneno quel poco che ci danno, sia pulito e meglio confezionato – firmato tutti -“.
Superato 1o stretto di Gibilterra e arrivati in mare aperto cominciarono i primi problemi derivanti dalle condizioni di mare mosso. A disposizione dei 1500 passeggeri vi era un solo medico, che per altro, godeva anch’egli di precarie condizioni di salute. Non aiutavano le forniture di cibo.
Secondo il racconto del Malavasi al mattino veniva “distribuita acqua calda (caffè); al rancio delle ore 11 la distribuzione di piccoli maccheroni impropriamente chiamati al brado; e per pietanza
pochissima carne tagliata in minutissimi pezzi (ostie). L’altro rancio consiste in poco riso, lunghissimo e buono a nulla e carne salata bollita, con contorno di lenticchie”.
“Erano porcherie – commentava Malavasi – che causavano diarree e dissenterie, con dolori tali da raccapricciare”. In queste condizioni il viaggio dir poco apocalittico, reso ancor più disagevole dalle disperate condizioni del mare ai tropici, dalle piogge battenti, che non consentirono per molti giorni di accedere all’aria aperta, e dalle litigate tra i diversi passeggeri e tra questi il commissario di bordo.
Quella tristissima beffa davanti a Rio de Janeiro
ALLE 19,30 del 7 settembre il piroscafo Remo si trovava difronte all’Isola Grande di Rio De Janeiro. La commissione sanitaria brasiliana, salita a bordo per consentire lo sbarco ordinò al capitano del piroscafo Remo di retrocedere di 20 miglia per gettare il cadavere di un catanzarese a mare e telegrafò a Santos informando di un’epidemia di colera a bordo. Eseguita l’operazione e ritornati nella rada dell’Isola Grande, i1500 emigranti furono messi a conoscenza dalle autorità brasiliane dell’eventualità di dover ritornare in Italia.
A questo punto fu fin troppo naturale immaginarsi lo sconcerto dei 1500 passeggeri, i quali, dopo aver affrontato un viaggio di tre settimane, a poche centinaia di metri dalla terra promessa, veniva loro vietato lo sbarco e imposto il rientro in patria.
Lo sconforto diventava ancor più grande se si pensa che molti di questi avevano venduto ogni loro “avere” per poter affrontare il viaggio ed erano attesi dai parenti in Brasile. Tra di loro c’era anche Brunichilde Minelli che, insieme alle due figlie, aveva lasciato Cavezzo, chiamata dal marito, di cognome Flandoti, emigrato qualche anno prima a San Paolo.
Alle 8,15 del 15 settembre, il piroscafo Remo ripartiva per l’Italia. Il viaggio di ritorno fu lungo e difficile, e, se parrebbe impossibile, ma riuscì ad essere molto peggiore di quello di andata. Tra i modenesi Cesare Malavasi, nella sua cronaca riporta le morti del figlio di Primo Luppi da San Prospero, di Clementina Meschiari e del figlio Tonino Pivetti da Disvetro, di Cleonice
Mazza da Disvetro, del piccolo figlio di Angelo Bosi da Disvetro e di sua moglie Filomen Garuti e di Ida Flandoti da Cavezzo.
Il 4 ottobre, dopo 50 giorni di viaggio, senza avere ancora mai toccato terra, i 1500 passeggeri del Remo venivano dirottati verso l’isola dell’Asinara in Sardegna per un periodo di quarantena. Ed è dall’Asinara che Giosuè Malavasi inviò un telegramma al sindaco di Cavezzo comunicando “colera a bordo respinto Brasile, decessi Comune cinque, quarantena indeterminata, noi bene, arrivederci”.
Pochi giorni dopo il sindaco Barbieri chiedeva al Malavasi il nome dei deceduti per darne comunicazione ai parenti. Una decina di gorni più tardi il Remo riprese il mare, facendo tappa a Napoli, dove
sbarcarono i passeggeri del Meridione, quindi riparti alla volta di Genova dove arrivÒ alle 11 del 26 Ottobre. Ritornava 70 giomi dopo la partenza, con il triste consuntivo di 96 morti e centinaia di ammalati.