James alla ricerca dei propri avi
Da anni sta cercando in tutti i modi di trovare le sue origini, di sapere se esistano ancora dei parenti sull’Appennino modenese, da dove i suoi nonni sono partiti agli inizi del Novecento.
James Vitton, con origini per metà torinesi e per metà modenesi, riuscito, tramite corrispondenze e, per via telematica grazie a internet, a ricostruire il suo albero genealogico modenese: dal suo bis, bis nonno Vangelista Zanni di Piandelagotti nato nel 1805, in giù.
Attraverso la sua caparbietà non comune e spronato dai figli, ha continuato le ricerche per anni, pur non venendo mai in Italia, ed ora James Vitton conosce molto, sulla carta, dei suoi avi, vorrebbe sapere se ci siano ancora dei parenti a Piandelagotti.
James Vitton, 77 anni, abita ora a Decatur, nell’Illinois. Negli States ha pochi parenti, un cucino medico di nome Carlo Giannasi e una zia Maria Steiner 85enne, sorella di sua madre.
“Noi tre siamo cresciuti insieme nella stessa piccola città di minatori ed abbiamo giocato insieme da piccoli – ha spiegato James Vitton – io sto cercando le mie origini e i miei cugini in Italia, ma non so nulla di loro, non so se ne esistano ancora. I mei genitori e i mei nonni vissero molti anni vicino gli uni agli altri e quando parlavano della loro gente, lo facevano in un italiano, forse dialetto, che io non potevo capire. Io andavo a scuola e studiavo solo inglese. A casa i miei parlavano bene l’inglese e, comunque, non parlavano mai della famiglia in Italia in mia presenza. Infatti i parenti con i quali ho contatti conoscono molto poco, come me, del nostro background. Le notizie che ho dall’Italia sono state fornite a mio cugino Carlo da Giacomo Cecchini, di Fontanaluccia.Giacomo era figlio di Lucia, sorella di Cesare, mio nonno, e di Attilio, padre di Carlo. Giacomo Cecchini, purtroppo è morto una decina di anni fa”.
James Vitton non ha quindi altri contatti con i parenti che sono rimasti in Italia quando Cesare Giannasi, insieme al fratello Attilio sono emigrati all’inizio del secolo, in America. Cesare, nato nel 1873, era figlio di Cristina Zanni e Dionigio Giannasi di Casa d’Andreino. La famiglia era denominata “quelli della Caporala”. Sposò Maria, detta Mariolina medici di Riccovolto e vissero per alcuni anni in località Costa dei Campi, ebbero due figli, Angelica e Luigi, poi emigrarono ed ebbero altri tre figli: Arturo, che morì in tenera età, Fortunata che sposò Emilio Ricci e non ebbe figli e Maria Steiner.
James Vitton è figlio di Angelica che sposò Matteo Vitton, di origini torinesi ed ebbe due figli, Vera e James. “All’arrivo nell’Illinois – racconta James Vitton – mio padre trovò lavoro come dirigente in una Cooperativa Store, il tipo di grande magazzino dove i clienti sono possessori di quote di merce e investono i profitti in altre quote del magazzino. Mio padre conosceva l’inglese in modo fluente e venne eletto anche segretario del School Board. Molti degli abitanti del paese erano immigrati e avevano bisogno di un segretario che svolgesse i loro rapporti d’affari in inglese”.
“Mio padre era dirigente della Cooperativa Store di Kincaid – continua James Vitton- quando anche mio nonno Cesare e suo fratello Attilio e il resto della famiglia si spostò, con mio padre e mia madre a Kincaid. Mia madre Angelica collaborava lavorando nel grande magazzino. Era molto attiva nelle questioni civiche e sociali e nelle attività del sindacato. Fu anch’ella membro dello School Board e fu inviata alla Bryn Mawer University nello stato della Pennsylvania dall’Unione dei lavoratori minerari per insegnare affari sociali e sindacali. Mia madre sfortunatamente morì quando avevo solo 16 anni”.
La Seconda guerra mondiale e sei figli
Dalle Filippine al “Super Club”
James Vitton rappresenta la prima generazione italo americana della sua famiglia. Ha sei figli: tre nati dal primo matrimonio avvenuto prima della seconda guerra mondiale, altri tre sono nati dal secondo matrimonio.
James è nato nel 1921 e giovanissimo, ha combattuto nella Seconda guerra mondiale.
“Fui chiamato alle armi in fanteria – racconta – e mandato a combattere nel sud del Pacifico, prima in Nuova Guinea, poi a Leyte e Luzon nelle isole Filippine. Ero nel primo contingente che invase il Giappone”.
Prima della guerra lavorava nella Cooperativa Store con il padre, poi, terminata la guerra, continuò in questa attività, ancora per qualche anno. Fece anche il barista al Super Club, un locale di proprietà di emigranti italiani di origine modenese, fino a quando non venne assunto presso il Dipartimento del lavoro nello Stato dell’Illinois a Springfield, per il quale ha lavorato 40 anni.
“Ho sei figli, nipoti e pronipoti – ha detto ancora – i miei figli sono grandi: tre sono insegnanti, uno è un tecnico radiologo, uno lavora come operatore d’affari e un altro è dirigente in una catena di magazzini di hardware”.
Il lavoro in miniera e la `Grande depressione’
James Vitton è convinto diavere cugini sull’Appennino, o comunque, parenti. Dei figli di Dionigi Giannasi, fratelli o sorelle di nonno Cesare, che rimasero in Italia, conosce poco o nulla.
“Credo che la vita sia stata molto dura per la mia gente -ha detto James Vitton – posso immaginare il timore che ebbero quando lasciarono il loro paese in Italia per approdare in un’altro luogo dove non conoscevano nessuno, non parlavano la lingua e avevano pochi soldi per sopravvivere. Hanno attraversato il mare su una barca che oggi considereremmo poco sicura anche per navigare su un fiume tranquillo. Non sapevano dove vivere, avevano un salario basso e facevano lavori pericolosi. Erano chiamati con nomi quali Wop, Dago, Spaghetti Bander, Guinea, e altri ancora. Credo che venire da un altro Paese ci voglia molto coraggio”.
E non fu meno avventurosa la vita una volta stabiliti negli States. Cesare Giannasi era minatore, Angelica, sua figlia aiutava il marito nella Cooperativa Store. Poi nel 1932 venne la grande depressione. James Vitton era nato nel 1921 e, a quel tempo era ancora un bambino.
“I minatori entrarono in sciopero- racconta – la gente era molto povera. Gli affari del grande magazzino andavano male. Quelli che avevano le quote se ne servivano per pagare i conti della drogheria. Ci furono rivolte, tumulti, sparatorie, anche bombardamenti e molti scontri tra i minatori scioperanti e gli “scabs” che importavano le compagnie minerarie. Il governo dichiarò lo stato d’assedio e per più di un anno la città fu tenuta sotto controllo dai soldati della Guardia nazionale. Le banche avevano chiuso e quando riaprirono diedero solo dieci cents per ogni dollaro depositato”.